venerdì 16 febbraio 2007

TRE CIONDOLI: Recensione di Renzo Montagnoli


Chi unisce alla lontananza di tuo padre?
Chi sa che in quel sorriso ai nostri figli
cerchi gli occhi di un figlio che non hai mai avuto?
E ogni notte in un lenzuolo di ricordi
anneghi il tuo dormire,
non vorresti più svegliarti
meglio morire un’altra volta.

Da “Uomo solo”


Non a caso ho messo questi versi, che sono parte di una poesia di Giuseppe Iannascoli; ripeto che non è a caso, perché mi sembra che rappresentino adeguatamente sia il modo di poetare di questo autore, sia il riflesso di quanto è presente nel suo animo.
Se è vero che un poeta finisce anche con il rappresentare i problemi esistenziali del mondo, Iannascoli ne è un tipico esempio. Nei suoi versi c’è una muta sofferenza, una malinconia talmente profonda dall’esserne sopraffatto, come un guscio di noce in balia del mare in tempesta. Il suo dramma è una solitudine interiore, una sorta di chiusura alla monotonia della vita vissuta, intesa come un susseguirsi di eventi ripetitivi che non consentono di verificare differenze fra un giorno e l’altro.
Le uniche emozioni che si possono provare sono quelle che nascono all’interno di noi stessi, pensando a quanto è restato del mondo dalle sue origini, senza la presenza distorcente dell’uomo. E’ un richiamo alla natura il suo, una natura quasi mitizzata e quindi tanto più appagante quanto meno reale.
Anche nelle liriche d’amore c’è uno spirito rassegnato, quasi che l’incomunicabilità latente ponesse dei limiti allo scambio delle sensazioni, quasi che i sentimenti dovessero essere solo unilaterali.
Quanto allo stile, lo stesso appare sopraffatto dalla necessità di esternare, di liberare l’animo dal gravame che l’opprime; di conseguenza è un effluvio di parole, quasi un torrente impetuoso e l’autore, se riuscisse a indirizzarlo verso il giusto alveo, con una ricerca più accurata della componente armonica, finirebbe con il regalarci liriche ancor più significative delle attuali.

Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=1761

giovedì 1 febbraio 2007

TRE CIONDOLI: Presentazione di Maria Pia Nervegna

Una delle componenti più interessanti nella poesia di Giuseppe Iannascoli è la natura, con paesaggi e luoghi ricorrenti e circostanziati. L’elemento spaziale si apre a una varietà di letture, ove c’è posto per il marino e il mediterraneo, per luoghi ampi e distesi, ma pure per una natura dal simbolismo variegato, ivi incluso il notturno e tonalità autunnali.
La prima fascia, con una predilezione per gli spazi bui, interpreta lo stato di languore e disfacimento interiore che consumano l’animo del poeta, svelando la presenza di una dimensione labile e precaria.
In Polvere e in Uomo solo “il cielo nero” tutto inghiotte e smaterializza; in Fango la pioggia da esteriore si fa interiore e su di essa attecchiscono immagini e sensazioni di morte; ne Il pescatore di telline il mare scandisce l’ineluttabile ripetitività di una giornata sempre uguale sia per la natura sia per un uomo senza sogni; arriva fino al cuore del lettore anche il gioco del “rovesciare le mani” per attenuare l’altrui dolore in Le mani sulla candela.
La seconda fascia presagisce un poesia più riflessiva con cenni agli spazi urbani anonimi e spoetizzati tipici delle città, specchio esteriore dell’umanità che ci vive travagliata da tanti conflitti irrisolti. Si veda ad esempio il ventoso e solitario marciapiede o i vicoli, dove pure si realizza il miracolo, le strade della città “mescolate” dal poeta in cerca di un significato al suo esistere, bar tristi e immobili nei loro tavoli di plastica e le fredde luci al neon dove si consuma la mancanza, l’assenza della perdita.
In questo gruppo di poesie il poeta è anche alla costante ricerca di un contatto con il paesaggio dominato dal desiderio di evasione e libertà di profondo desiderio di avventure dello spirito; in Mai per un giorno solo, il mare sembra essere il tramite di un auspicata fusione uomo-natura sullo sfondo di un tempo che ciclicamente si ripete, in Luna sfumata il candore perlaceo della luna si spoglia di ogni accezione radiosa e si fa emblema di una concezione della vita smarrita; in Mattino il poeta ha un approccio prevalentemente analogico e impressionistico con la natura: sullo sfondo di una montagna quasi antropomorfizzata, i ritmi della vita umana sono assimilati a quelli del mondo naturale: “Lì in basso paesi accovacciati come branchi di cani randagi” e “un cielo vuoto” diventano il corrispettivo di una visione amara e dubbiosa dell’esistenza del cosmo.
Anche l’amore è un referente importante come si evince nell’ultima fascia del libro: si individuano brevi fughe dell’anima come ne E nei vicoli... la bacerò, attraverso il leitmotiv “La porterò lontano”, ma soprattutto incontriamo sensazioni vissute ora in contesti di assoluta incomunicabilità e inaridimento dei sentimenti in cui il poeta si consuma tra desiderio, frustrazione e accettazione del presente (“ora sono arso / a colorar le tue sole scie”), ora in contesti di serenità e pienezza, in un’attenta analisi psicologica delle sensazioni e dei fremiti della passione, che tuttavia mai scade in toni eccessivamente sentimentalistici e s’impronta piuttosto a una misurata emotività.
Dal punto di vista formale le liriche, in versi liberi e larghi, sono rese con un linguaggio poetico oscillante tra il prosastico e il familiare, sempre in giusto equilibrio tra tonalità lirica, descrittiva e narrativa. Abbondano i segni d’interpunzione e gli enjambement con effetto rallentante sembrano seguire le varie tappe interiori di un difficile cammino, sospeso incessantemente tra momenti di caduta, di conquista e di rinnovamento.

Maria Pia Nervegna