mercoledì 24 ottobre 2012

Presentazione: CONFESSIONI RUPESTRI di Fabrizio De Gregorio (Pescara, Venerdì 26 ottobre - ore 18:00)




Venerdì 26 ottobre - ore 18:00
presso la Libreria Feltrinelli di Pescara

presentazione del libro di poesie di

Fabrizio De Gregorio
CONFESSIONI RUPESTRI
Edizioni Tabula fati

a cura di Giancarlo Giuliani

saranno presenti l'Autore e l'editore Marco Solfanelli


Scheda del libro:

Colpisce, in un autore giovane come Fabrizio De Gregorio (18 anni), la naturale pratica — che non sarebbe sbagliato definire padronanza — di forme, ritmi e soluzioni quali la poesia ispira di norma solo a chi è più avanti negli anni. Scorrendo questa snella raccolta del 2012, Confessioni rupestri, se non si conosce personalmente o attraverso una nota biobibliografica l’Autore, si pensa a un poeta più grande d’età, per la dimestichezza con la pagina che vi si coglie e per la brillantezza delle immagini in essa presenti.
O forse no. Forse tutto ciò non è vero. Forse Fabrizio De Gregorio ci ricorda che solo alla sua età l’eruzione poetica può fluire così magmaticamente, senza mediazioni, su carta; che Rimbaud ha scritto Le illuminazioni prima dei vent’anni con un nitore e una violenza emotiva quali non avrebbe più ritrovato con la maturità.


Fabrizio De Gregorio è nato il 6 maggio 1994 a Pescara, ora è studente del Liceo Classico Gabriele D’Annunzio. Distintosi fin dalla prima adolescenza per la passione nella poesia, riesce a ottenere premi e segnalazioni in vari concorsi letterari. Degni di nota sono: Premio Poesia Società Dante Alighieri Pescara & Kiwanis Club Pescara (9 dicembre 2006); terzo classificato al Concorso Regionale Poesie in cammino, IX Edizione; segnalazione di merito nel Premio Nazionale G. Marconi dedicato a Micol Cavicchia, IX edizione; secondo classificato sezione giovani nel Premio Internazionale Città di Monza 2011, XIII Edizione; Menzione D’Onore nel XVIII Premio Letterario Internazionale Trofeo Penna d’Autore; Premio Speciale Armando Giuliani nel Premio Nazionale G. Marconi dedicato a Micol Cavicchia, X edizione. Ha pubblicato in diverse antologie e la silloge "Cento giorni" (Pescara 2010).



Fabrizio De Gregorio
CONFESSIONI RUPESTRI
Presentazione di Giovanni D'Alessandro
Edizioni Tabula fati
[ISBN-978-88-7475-282-9]
Pagg. 56 - € 6,00

http://www.edizionitabulafati.it/confessionirupestri.htm

mercoledì 29 aprile 2009

SULLE ALI DELLA FEDE: Recensione di Renzo Montagnoli

La poesia religiosa è un tipo di poesia tipica della religione cristiana ed è iniziata nel Medioevo; i suoi massimi esponenti sono Francesco d’Assisi e Iacopone da Todi. Per l’esattezza la nascita di questa forma espressiva in versi si fa risalire al 1260, grazie alla Confraternita dei Disciplinati che diffuse in tutta Italia le laudi, liriche drammatiche, religiose o pasquali in dipendenza dell’argomento trattato. Tuttavia è il Cantico di Frate Sole, o anche Cantico delle creature, di San Francesco d’Assisi ad essere ritenuto il più antico componimento in volgare italiano. Con Iacopone da Todi, poi, la lauda assunse quella dimensione artistica che è propria della poesia. Questa branchia ha come tipicità un discorso dell’autore rivolto a Dio tendente a tesserne le lodi, oppure a implorare la sua attenzione, cioè una prece o preghiera.
La silloge di Viola Di Muzio non si discosta da queste tipicità, presentandole entrambe con liriche a metrica libera di particolare solennità, pur nella semplicità della costruzione e dei termini utilizzati.

T’ascolto nel silenzio

O mio buon Dio sembra irreale
rispecchiarsi nella Luce
del volto del Tuo amato figlio Gesù,
ma io come un sogno afferro
fasci d’amore e di sole.
Non odo la Sua voce, l’ascolto nel silenzio
delle mie desolate stanze.
Non prego per le piaghe dell’anima mia
ma per le acque rosse e torbide
che inondano fiumi, mari e terra.
O mio Dio fa che la natura non gridi più.

Questa quindi si traduce in una preghiera, nell’invocazione per ottenere la pietà dell’Essere Supremo.

E’ evidente che l’autrice, di cui ho già apprezzato altre liriche di diversa natura, completa in tal modo, secondo i sentimenti della religione cristiana, la sua tendenza al trascendente, cioè in lei nasce e si sviluppa una continua ricerca del dialogo con Dio, al fine di arrivare a un’estasi poetica, come in questa:

Eri Tu…mio Signore

Cammino sola in un viale
alberato d’autunno.
Lacrime di dolore
si confondono nella nebbia…
E mentre scendono le prime foglie
all’improvviso un fascio
di luce si posa sul mio cuore.
Non la vedo più…
E’ scomparsa.
Eri Tu mio Signore.

Per quanto ovvio, queste poesie incontrano l’interesse dei credenti, mentre possono lasciare indifferenti gli agnostici e gli atei; tuttavia, la sincerità della devozione dell’autrice, la riflessiva proposizione, pacata e mai irruente, nonché l’atmosfera ieratica che permea tutti i versi non possono non destare l’attenzione di chi ama l’arte poetica. E non a caso non è necessario essere permeati di religiosità per apprezzare Il cantico delle creature, oppure le laudi di Iacopone.
L’arte, quando c’è, esula da preconcetti e la si ammira per la bellezza che è insita in essa.
Quindi, le liriche di questa silloge sono fruibili indistintamente da tutti e ne consiglio la lettura.

Renzo Montagnoli
http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=5017

mercoledì 9 luglio 2008

RECENSIONE di Irene Vanni

Parlando di poeti maledetti, i primi nomi che affiorano alla mente sono sempre quelli di Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Oltre alla Francia, sembrano sempre i Paesi del Nord Europa, come la Germania o l’Inghilterra, quelli che detengono il primato di componimenti ‘notturni’, ‘gotici’ o comunque collegati all’immaginario orrorifico. Non è certo questa la sede per dilungarsi sull’argomento, ma spesso si tralasciano i nostrani Dino Campana od Olindo Guerrini. Per non parlare dell’opera di Arrigo Boito che, oltre a componimenti di indubbio fascino, quali la celebre Lezioni di anatomia, ci ha lasciato alcuni fra i più famosi libretti melodrammatici.

Il nostro Paese non dovrebbe dimenticare le sue radici volgari, a partire da quell’Inferno di Dante che potrebbe configurarsi quale la madre di tutto l’orrore italico, e scavare anche più a fondo, nella latinità e nella mitologia mediterranea.

E alla latinità allude il titolo della raccolta del meglio del Premio Letterario di Poesia Carmen Nocturna, bandito dall’Associazione di cultura horror Ars Nocturna, che, come recita l’introduzione del direttore artistico dell’associazione Domenico Nigro: “ha gettato luce sulle tenebre dello stato dell’arte gotica nel primo decennio del 2000”.

Il volumetto è diviso in due parti: Carmen Nocturna, che contiene il meglio del Premio, e Murmuro Mortiferum, dedicato ai versi dei giurati.

La prima parte si apre con le tre poesie prime classificate, nell’ordine: Abisso di Alberto Baccarini, Sintesi Vitae di Marco Braccini e Notte di Giovanni Cicero.

Si tratta indubbiamente dei componimenti più ricchi di suggestioni oscure, o comunque legate a quella parte del giorno in cui la luce scompare, a partire dai primi due versi della poesia vincitrice (“Strano mondo di luci sommerse/dove l’occhio si dilata e resta a guardare”), fino ad arrivare al titolo stesso della poesia terza classificata; oppure il tema si piega alla solitudine dell’uomo e alla sua incapacità di comunicare e di afferrare il senso dell’esistenza (“Impossibilità di perdersi nella conoscenza/perdersi nell’impossibilità di conoscenza/conoscenza dell’impossibilità di perdersi”, dalla poesia seconda classificata).

Le immagini più affascinanti ci arrivano però da altre poesie selezionate per l’antologia, sempre di Braccini, come quella de Il Vampiro (“Vitrea eleganza di morte/Al soffitto di lacrime crude”) o di Incapacità (“Il Genio sacrifica/Al Tempio dell’Arte/Ciò che toglie all’intelligenza/Opere sublimi, splendide/Entro le porose pareti/Della scatola cranica”). Procedendo, incontriamo pure un altro componimento del vincitore, Incubo, intriso anch’esso di tentazioni notturne sin dai primi quattro versi: “Affonda nell’abisso del tuo letto/e preparati a far volare l’inconscio tra le buie foreste/nelle notti profonde di voci surreali/che trasportano nell’oblio la tua anima sola”; e ancora nella terza strofa: “Persa nel labirinto ossuto e macabro delle infernali viscere/continua il viaggio della tua anima illuminata di buio”. Infine, il componimento della fiorentina Anna Cottini, Cara Maestra, che vede la macabra vendetta compiuta su una maestra da parte della piccola alunna.

Si tratta in sintesi di componimenti discreti, anche se non memorabili.

Quando, però, ci addentriamo nella parte dedicata agli scrittori e giurati, ci accorgiamo che la qualità delle opere si innalza notevolmente, e l’equilibrio del volume viene a mancare.

Ci colpiscono immediatamente i primi quattro versi di Le muse e i sudari di Ian Delacroix. Il ritmo è inesorabile, come quello della camminata delle protagoniste: “Avanzavano le Muse/riflettevano su sudari imbiancati:/statica processione/inascoltata”, e i suoni sussurrati dalle sibilanti paiono voler comunicare il silenzio del firmamento che osserva “attonito”.

O La Signora imbiancata di polvere d’ossa di Ruggero D. Sanguenero, la “Vigliacca Signora/dal manto accecante con occhi/d’inferni lontani m’incrini/m’ispiri scritture blasfeme/che vogliono sangue” che, con i suoi numerosi enjambements, pare voler abbracciare colui che parla.
L’orrore si rivolge poi anche ai drammi della storia umana, con Gli angeli delle memorie di Zefiro Mesvell: “Spellata la cenere delle memorie,/i giardini dell’olocausto ardono/attraverso le chimere”.

Giovanni Buzi riversa nella poesia il tipico incedere dei suoi racconti, preparando, in un ambiente insospettabile, la sorpresa finale: “Ma, ti prego/questa volta lascia/intatto, se non il mio cuore,/almeno il mio/collo”. Per finire con le visioni rapide e ‘silenziose’ di Edera, cantante della metal gothic band Domina Noctis e autrice della suggestiva copertina del volume.

Un libro discreto, nel suo complesso, che però ci lascia sul palato il gusto amaro di qualcosa che non si è ancora compiuto. Un buon inizio, comunque, per la riscoperta e la rivalutazione del genere che, ci auguriamo, potrà crescere in un prossimo futuro. I nuovi autori dovranno guardare al passato, ma anche al presente, per non restare invischiati nelle maglie di costruzioni e tematiche lontane dall’uomo moderno. Guardare alla poesia, ma anche a ciò che, in epoca contemporanea ha contribuito alla crescita del genere, non ultimo la cultura rock e metal: dagli albori, incarnati nelle liriche di gruppi quali Black Sabbath e — per certi versi — Led Zeppelin, fino alle tematiche del black e del death metal. Guardare all’estero, ma anche — di nuovo — alle nostre fascinazioni. E quale migliore augurio, il volume avrebbe potuto donarci se non una presentazione firmata dal leader dell’horror metal band più famosa d’Italia e non solo?

“Il vero artista riesce a interpretare l’arte gotica secondo il proprio pensiero — scrive Steve Sylvester — usando le più diverse chiavi di lettura, cogliendo con piena consapevolezza la bellezza dell’orrido, fino a creare una vera e propria estetica fondata su di esso”.

Irene Vanni

http://www.horrormagazine.it/libri/3347

sabato 7 giugno 2008

PRESENTAZIONE di Steve Sylvester

Sono sempre stato affascinato dal gotico, in tutte le sue espressioni artistiche: dall’architettura delle grandi cattedrali europee del XIII secolo ai romanzi di Mattew Gregory Lewis, Ann Radcliffe e Mary Shelley, dai film di Wegener e Murnau ai quadri di Bruegel e Bosch, fino ad arrivare alla musica dal sound oscuro e spigoloso di band come Black Widow, High Tide, Dr. Z, Monument, Atomic Rooster, Necromandus e Black Sabbath...
Il vero artista riesce a interpretare l’arte gotica secondo il proprio pensiero, usando le più diverse chiavi di lettura, cogliendo con piena consapevolezza la bellezza dell’orrido, fino a creare una vera e propria estetica fondata su di esso.
I personaggi che popolano questo mondo artistico sono spettri, mostri e creature demoniache, prodotti dell’immaginazione, sempre e comunque affascinanti e fuori dagli schemi, che misurano la nostra attrazione verso tutto ciò che è diverso, alieno e quindi sconosciuto.
La poesia gotica in particolare fa leva su quella parte "sospesa" della nostra anima che non conosciamo mai perfettamente, che rimane ignota, latente, sospesa, appunto, nell’aria sopra le righe del nostro vivere quotidiano.
Ecco quindi una raccolta di piccole opere dove gli elementi soprannaturali così presenti e così importanti non sono altro che l’espressione codificata delle nostre paure comuni, dei nostri desideri inconfessabili, di tutte le inquietudini che ci accompagnano fin dall’infanzia.
L’orrore, la mostruosità, la paura, costituiscono la più straordinaria molla dell’immaginario sociale e con la loro funzione catartica e tentatrice fungono da reagente a questo mondo schematizzato e vincolato da dogmi e regole, aiutandoci a liberarci dalle tensioni dei nostri tempi.

Steve Sylvester

venerdì 16 febbraio 2007

TRE CIONDOLI: Recensione di Renzo Montagnoli


Chi unisce alla lontananza di tuo padre?
Chi sa che in quel sorriso ai nostri figli
cerchi gli occhi di un figlio che non hai mai avuto?
E ogni notte in un lenzuolo di ricordi
anneghi il tuo dormire,
non vorresti più svegliarti
meglio morire un’altra volta.

Da “Uomo solo”


Non a caso ho messo questi versi, che sono parte di una poesia di Giuseppe Iannascoli; ripeto che non è a caso, perché mi sembra che rappresentino adeguatamente sia il modo di poetare di questo autore, sia il riflesso di quanto è presente nel suo animo.
Se è vero che un poeta finisce anche con il rappresentare i problemi esistenziali del mondo, Iannascoli ne è un tipico esempio. Nei suoi versi c’è una muta sofferenza, una malinconia talmente profonda dall’esserne sopraffatto, come un guscio di noce in balia del mare in tempesta. Il suo dramma è una solitudine interiore, una sorta di chiusura alla monotonia della vita vissuta, intesa come un susseguirsi di eventi ripetitivi che non consentono di verificare differenze fra un giorno e l’altro.
Le uniche emozioni che si possono provare sono quelle che nascono all’interno di noi stessi, pensando a quanto è restato del mondo dalle sue origini, senza la presenza distorcente dell’uomo. E’ un richiamo alla natura il suo, una natura quasi mitizzata e quindi tanto più appagante quanto meno reale.
Anche nelle liriche d’amore c’è uno spirito rassegnato, quasi che l’incomunicabilità latente ponesse dei limiti allo scambio delle sensazioni, quasi che i sentimenti dovessero essere solo unilaterali.
Quanto allo stile, lo stesso appare sopraffatto dalla necessità di esternare, di liberare l’animo dal gravame che l’opprime; di conseguenza è un effluvio di parole, quasi un torrente impetuoso e l’autore, se riuscisse a indirizzarlo verso il giusto alveo, con una ricerca più accurata della componente armonica, finirebbe con il regalarci liriche ancor più significative delle attuali.

Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=1761